Poco più di cinquant’anni fa, esattamente il 19 ottobre del 1969, scomparve misteriosamente da Palermo, dall’Oratorio di San Lorenzo, uno dei dipinti più straordinari di Michelangelo Merisi, meglio noto come il Caravaggio: da quella notte piovosa d’autunno in cui la tela, una “Natività del Cristo”, fu trafugata, non se n’è saputo più nulla. La vicenda rimane uno di quei misteri all’italiana che probabilmente non verranno mai sciolti e che hanno alimentato la fantasia di scrittori noir come Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. Lo studioso Michele Cuppone ritorna sulle dolenti note con un saggio riccamente illustrato e ben documentato su quest’opera di Caravaggio. In verità, il buio più fitto avvolge tuttora il ritrovamento di questo magnifico “presepio” caravaggesco, ma l’autore, d’accordo con Maurizio Calvesi, Nicola Spinosa e Vittorio Sgarbi, adduce tutta una serie di fondate motivazioni in base alle quali non è più legittimo dubitare del fatto che la “Natività” sia stata realizzata a Roma, negli anni d’oro della creatività del maestro, e non a Palermo come si credeva in principio. Caratteristiche stilistiche e iconografiche sono la prova più evidente di questa datazione al 1600 e di questa collocazione capitolina, in particolare quel senso di compiuta serenità che trascorre dal viso della Vergine e del Bambino a quello dell’Angelo che chiude in alto la scena. Siamo negli anni della piena maturità dell’artista ma, soprattutto, della sua compiuta serenità: più tardi avverrà la tragedia che sconvolgerà la vita del Caravaggio e la sua stessa tecnica artistica diventerà più concitata e drammatica.